La Mindfulness nei suoi meccanismi fondamentali di funzionamento
Per Mindfulness si intende la presenza mentale, detta anche pienezza della mente. È la traduzione inglese della parola in Pali Sati che significa attenzione consapevole ma anche ricordare. Ricordare la Via e tornare al presente in modo etico. Quindi, secondo la tradizione buddhista, da cui è nata la pratica Mindfulness occidentale, il fine ultimo della consapevolezza è quello di dirigere la nostra mente verso il bene e l’illuminazione. Non esiste un’attenzione neutra. Essere consapevoli dei nostri processi mentali ci può portare a discriminare tra il bene e il male e a scegliere il pieno benessere nostro e degli altri.
La Mindfulness
La pratica della Mindfulness, molto di moda e inserita in quasi tutti programmi di formazione del personale in azienda, appare per lo più come una semplice tecnica per “stare meglio”, essere più efficienti, godersi la vita ed essere più simpatici (o meno antipatici…).
Portata alla ribalta dal Dott. J. Kabat-Zinn con il suo importante lavoro pionieristico sull’utilizzo della meditazione come pratica terapeutica nella riduzione dello stress, la Mindfulness si è diffusa a macchia d’olio dalla clinica a molti altri utilizzi in diversi ambiti, fino a raggiungere l’esercito USA.
La Mindfulness è stata estrapolata dal complesso filosofico-culturale buddista, nello specifico dal buddismo Theravada, e semplificata per renderla facilmente fruibile dal pubblico occidentale. Questa semplificazione ha naturalmente dei costi e può produrre delle distorsioni di cui tener conto.
Molti sono gli studi di neuroscienze che ne comprovano l’azione sul sistema nervoso centrale e autonomo. Ricordo solo, fra gli altri, lo studio di Britta k. Holzel et AA del 2010., e il cap 3° Neurobiologia della Mindfulness in “Manuale clinico di mindfulness” a cura di F. Didonna. Non ultimo è a ricordare il lavoro di Daniel J. Siegel (vedi bibliografia) per una spiegazione sul funzionamento della Mindfulness a livello neuropsichico.
In queste brevi pagine, cercheremo di comprendere insieme quali sono i fondamenti della Mindfulness che portano a una maggiore consapevolezza, salute e libertà a prescindere dalle sue applicazioni cliniche. A tal fine seguiremo alcuni suggerimenti di Shauna L. Shapiro e colleghi come una traccia nel bosco della conoscenza.
I tre fondamentali assiomi della Mindfulness
Dalla definizione di Mindfulness di Kabat-Zinn, vediamo che si tratta del prestare attenzione al mondo, interno ed esterno, in un modo particolare: di proposito, nel momento presente e senza giudizio. Quindi, con intenzione, attenzione e con un’attitudine non giudicante, bensì affettiva e compassionevole. Ma vediamoli nel dettaglio, seguendo le tracce di Shauna Shapiro.
L’intenzione
L’intenzione è il faro che ci guida nel bosco e ci permette di superare gli ostacoli e le fatiche. Nella tradizione buddista, l’intenzione – detta anche motivazione – è quella di conseguire la liberazione finale, l’illuminazione. Anche se un semplice manager o cittadino stressato in occidente non ha questo obiettivo finale, l’intenzione resta il punto di partenza fondamentale. Senza uno scopo, un fine da raggiungere, anche la vita perde di senso. L’intenzione cambia nel tempo. Per esempio, una persona ansiosa avrà come intenzione iniziale quello di vivere con maggior tranquillità la sua vita quotidiana. Poi sentirà che c’è dell’altro: la pratica della Mindfulness non solo la fa stare meglio, ma amplia la sua visione e cambia i suoi rapporti con gli altri. In seguito forse si incuriosirà dei cambiamenti della sua stessa mente e così via. Ad ogni modo, è fondamentale aver chiara la propria motivazione e verificarne l’eticità.
L’attenzione
L’attenzione è il secondo pilastro della Mindfulness. Essa ci permette di focalizzarci, momento dopo momento, sulla nostra esperienza in sé al di là di ogni interpretazione. Chi pratica la meditazione sa quanto sia difficile mantenere l’attenzione su un oggetto (il respiro, le sensazioni corporee, un oggetto esterno, altro) ma è anche grazie alle distrazioni che possiamo diventare consapevoli della nostra mente. Riportandola costantemente “a casa”, al qui ed ora.
L’attenzione è un fattore neutro che può essere utilizzata con gran vantaggio anche dai cecchini. Per questo è fondamentale, ricercare innanzi tutto la nostra intenzione.
L’attitudine
Qual è l’attitudine della nostra attenzione? Pensieri critici attraversano la nostra mente? O possiamo seguire il processo con uno sguardo benevolo e affettivo? Spesso infatti si parla di heart-mindfulness, comprendendo il cuore come elemento centrale della Mindfulness. Secondo Bishop (2004), l’attitudine comporta la curiosità, l’accettazione e il non-sforzo.
I miei maestri mi dicevano sempre che l’atteggiamento di fondo è quello di prestare un’attenzione lieve e benevola. Senza sforzo perché sarebbe come tirare troppo la corda di un sitar, ma neanche troppo poco. Il giusto sforzo per la giusta nota. Anche questo è un esercizio di consapevolezza che comporta un grande ascolto di sé. Se il giudizio, l’autocritica, domina il nostro ascolto, sarà più difficile trovare la giusta intonazione.
L’aspetto emotivo e affettivo, associato all’intenzione, aggiunge la giusta frequenza alla nostra pratica meditativa che può così fiorire.
Il cambiamento di prospettiva
La pratica di questi tre aspetti della Mindfulness modifica pian piano il nostro assetto mentale, che sarà sempre più orientato all’osservazione della realtà per come si manifesta momento dopo momento. Si emerge così dalla nostra narrativa o da quella fornitaci a livello sociale, con cui interpretiamo la realtà, per giungere a una maggiore chiarezza di visione. Non si è più interpreti ma osservatori di sé e del mondo così com’è.
Sauna L. Shapiro parla di ri-percezione, in cui ci disidentifichiamo dalla nostra interpretazione della realtà, diventandone semplici testimoni. Noi non siamo i nostri pensieri e possiamo vederli oggettivamente per quello che sono: semplici pensieri che come nuvole cambiano e svaporano nel cielo.
Quando arriviamo a vedere l’altra persona per quello che è e non per quello che pensiamo di lei, possiamo entrare in empatia con lei. Questo è un elemento importante della pratica di Mindfulness che ci avvia verso la compassione e all’ascolto autentico dell’altro.
Quali sono gli effetti di tutto ciò? Che cosa cambia in noi e fuori di noi? Come incide sulla nostra salute? Lo vedremo nel prossimo articolo.
Dott.ssa Bàlzola Maria Antonietta
Medico psichiatra.
Bibliografia
Bishop, S. R. et AA (2004) Mindfulness: A proposed operational definition. Clinical Psychology: Science and Practice, 9,76-80.
DOI: https://doi.org/10.1093/clipsy.bph077
Britta K., Holzer et AA (2011) Mindfulness practice leads to increases in regional brain gray matter density; Psychiatry Research: Neuroimaging
DOI: 10.1016/j.pscychresns.2010.08.006
Didonna F. (2012) Manuale clinico di mindfulness. FrancoAngeli s.r.l. Milano
Shapiro L. S. et AA (2006); Mechanism of Mindfulness. Journal of Clinical Psychology DOI: 10:1002/jclp.20237
Siegel D. J. (2009); Mindfulness e cervello. Raffaello Cortina editore. Milano
Siegel D. J. (2011); Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale. Raffaello Cortina Editore. Milano