Il significato della cura in medicina

Lectio magistralis Prof. Giovanni Maio

Il 23 giugno 2023 presso la Fraterna Domus di Sacrofano, Roma, si è tenuta la Lectio Magistralis del Prof. Giovanni Maio  sul significato della CURA in MEDICINA.

Il concetto di CURA viene analizzato dal Prof. Maio profondamente, allo scopo di poter essere reintegrato nella prassi medica e sanitaria che negli ultimi due decenni ha subito un processo di riduzionismo ed estraniazione dall’autentica cultura, etica e prassi della cura.

Dalla sua ricca analisi delineiamo alcune tesi e contenuti pur nella consapevolezza che la parola scritta non raggiungerà l’effetto e l’intensità della sua orazione, che lo rende un testimone d’eccellenza. 

 


 

La medicina odierna oggi è intesa come una disciplina che ha il compito di applicare protocolli standardizzati, l’intervento manipolativo e riparativo sul corpo, la prescrizione, la correzione, l’azione documentabile della tecnica: essi sono a tutti gli effetti parti integranti e funzionali della medicina, tuttavia l’identità della medicina non si esaurisce in esse.

Per comprendere a fondo il senso della cura, l’identità della medicina, e delineare un’etica della cura occorre chiedersi: cosa distingue una mera attuazione di misure da una “azione di cura”? Per poter formulare un’etica della cura è anche necessario chiarire la visione dell’essere umano da cui partiamo. Ogni etica inizia con una concezione dell’essere umano, con un’immagine.

Il punto di partenza della odierna antropologia è quella dell’essere umano “sovrano”, autonomo, autosufficiente. Da codesta immagine si approda a una concezione individualista con la esaltazione dell’indipendenza. Abbiamo disimparato a considerare l’essere umano come essere fondamentalmente, costitutivamente, e innanzitutto DIPENDENTE e VULNERABILE.

L’analisi antropologica del Prof. Maio adotta come punto di partenza la VULNERABILITÀ dell’essere umano e la sua dipendenza dall’essere umano medesimo. Ciò si desume dal fatto concreto che la vita umana si compie sempre dentro una struttura d’interdipendenza e relazionalità con altri. 

All’origine della sua vita, l’essere umano è stato tale perché qualcuno gli ha rivolto la parola. La sua sopravvivenza è dipesa da questo essere in relazione con qualcuno che gli parlava.  Questa struttura fondamentale resta inalterata. L’altro rende possibile l’autonomia. L’uomo può trovarsi solo attraverso un altro, perché nell’altro egli fa esperienza di sé stesso. Senza l’altro gli viene sottratta la base della sua esistenza. Ogni essere umano ha bisogno dell’altro: bisogno di sviluppare fiducia in sé, per sapere chi è. Su questo sfondo l’uomo rimane per tutta la vita vulnerabile, perché non è immune dall’essere esposto a una ferita simbolica: a causa di assenza di parole, di emarginazione, di disinteresse, di mancato riconoscimento. Un silenzio, uno sguardo annichilente, una risposta non data, può dare all’uomo il sentimento della propria pochezza

In tale struttura di interdipendenza con altri, la libertà del singolo individuo non risulta dalla sua indipendenza, ma dalla capacità di gestire bene i rapporti di dipendenza. L’autonomia è fragile e continuamente percorsa dalla vulnerabilità: anche nei momenti di forza non ci si può disfare della vulnerabilità. La necessità e l’obbligo della cura si può comprendere solo se partiamo dalla constatazione della vulnerabilità. Alla vulnerabilità è inerente una dimensione ingiuntiva, poiché al cospetto della vulnerabilità non si può restare indifferenti

La medicina, occupandosi di persone particolarmente vulnerabili, non sarà all’altezza del proprio compito se non diviene consapevole della vulnerabilità fondamentale dell’uomo, poiché, secondo il Prof. Maio, la medicina non è che la risposta istituzionalizzata alla vulnerabilità dell’uomo. Rispettare la dignità dell’uomo non significa altro che tenere sempre conto della sua vulnerabilità

Da queste considerazioni antropologiche il Prof. Maio delinea la CURA in sette elementi. 

IL SIGNIFICATO DELLA CURA IN MEDICINA

I sette elementi della cura

1. La cura come desiderio interiore

La cura comincia quando chi la presta si sente personalmente coinvolto, sollecitato, interessato ad impegnarsi per l’altro. Non è espressione della cura l’indifferenza o un procedere distaccato e routinario. L’immedesimazione con il bene dell’altro dà il via alla cura, fa scattare l’impulso ad impegnarsi. La componente motivazionale è fondante per l’identità della cura. Non si agisce per astratto obbligo morale, come disse Kant, ma perché chi cura ha a cuore l’agire umano. Avere cura è l’espressione manifesta del fatto che il bene dell’altro per noi è realmente essenziale.

La cura è la capacità di collegare una volontà attentiva con un agire effettivo. L’elemento essenziale della cura non sta solo nell’offrire qualcosa, ma nell’offrire se stessi, la propria attenzione, così da condividere la preoccupazione per l’altro. La cura è generata inevitabilmente da un’esigenza interiore di volersi immedesimare con l’altro. In tale ottica, la semplice prestazione si differenzia da un atto di cura per il fatto che in quest’ultimo è insito proprio quel desiderio interiore dal quale scaturisce l’atto stesso. 

La cura è nella sua forma originaria una prassi che viene dal cuore. È la cordialità dell’aiuto che trasforma una semplice misura medica in un’azione di cura: là dove si manifesta una tale cura, là si compie la concretizzazione di una medicina umana.

2. La cura come risposta

La cura risponde o reagisce alla richiesta di una persona che ha bisogno. È l’altro che chiama, che sollecita alla cura. Con la cura, la preoccupazione dell’altro diventa la mia propria. Dare una risposta in tal senso è possibile solo se si rimane ricettivi per le richieste che provengono dall’altro. L’atteggiamento è quello della disponibilità a comprendere, a recepire, a prestare grande attenzione alle parole, allo sguardo, ai gesti dell’altro. Questa struttura responsiva della cura mostra che la preoccupazione per l’altro non è una scelta facoltativa, ma una richiesta irrevocabile e alla quale non ci si può sottrarre. Il carattere responsivo della cura è strettamente legato alla disponibilità ad assumere responsabilità

La cura non comincia con lo schema, di un piano di intervento, ma comincia partendo dalla realtà dell’altro, in un processo di graduale convergenza. Possiamo immaginare la cura come un andare incontro all’altro, per poi proseguire insieme nella sua direzione. Se questo percorso comune riesce nel suo intento di sostenere l’altro, da esso nascerà una comunità speciale, una comunità del volere, in cui la capacità di supporto è in grado di garantire un aiuto durevole.

3. La cura come compito di sviluppo

Se la cura implica questo “camminare insieme”, diventa necessario chiedersi dove deve condurre questo sentiero comune e quale può essere l’obiettivo, il fine della cura. Nella cura sono infatti iscritte molteplici finalità concrete: la preservazione dell’integrità dell’altro, il soddisfacimento dei bisogni fondamentali, l’alleviamento dei disagi e delle sofferenze, la conservazione dell’esistente. La cura non si esaurisce però in questi elementi, perché un aspetto fondamentale della cura è dedicarsi al fine di promuovere la crescita dell’altro, il suo vero interesse è che si sviluppino fino in fondo le potenzialità insite nell’altro

La cura presuppone la capacità di vedere nella realtà dell’altro la sua potenzialità. Alla base della cura sta il fine specifico di supportare il potenziamento dell’altro, di rafforzare e accompagnare l’altro nel suo sviluppo, di credere in questo sviluppo. La cura può dunque essere intesa come una prassi potenziatrice che si compie nel processo dell’incontro. La cura richiede l’incontro e la conoscenza specifica della persona bisognosa di cura, il rispetto per l’alterità e inconfondibilità dell’altro, la disposizione a cercare nell’altro l’ambito delle sue possibilità di sviluppo in lui già esistenti. Questa attitudine della cura è l’idea che l’essere umano sia fondamentalmente un essere aperto allo sviluppo, che, a motivo della sua essenza, non può mai venire considerato come concluso. Durante tutta la sua vita l’uomo rimane un essere in evoluzione, un essere che in linea di principio non è mai compiuto, bensì capace di dispiegarsi. Un essere che può andare oltre sé stesso se incontra le condizioni che rendono ciò possibile. E la più elementare di queste condizioni è la cura. Laddove si dispiega la vera cura essa ha sempre potenzialità trasformative. Ciò fa della cura la prassi più irrinunciabile

La malattia nel senso più vero della parola è una crisi, in cui si decide la direzione che prenderà la persona, e questa crisi è connessa alla vulnerabilità. Affinché questo momento di vulnerabilità non diventi una caduta ma un salto in avanti, occorre una risposta adeguata alla vulnerabilità, e questa risposta è la promessa della cura. 

4. La cura come risultato di una creatività situazionale

I due punti chiave della cura sono singolarità e specificità. La cura non è mai generica, ma sempre concreta e individualizzata. Non è il risultato di regole astratte da applicare. La cura non segue un modello deduttivo, ma considera ogni volta l’immediatezza della singolarità di ciascuna situazione come un mandato ad individuare l’azione più adeguata. Per la realizzazione di tale compito è, pertanto, necessaria una creatività situazionale che non può avere luogo senza la sensibilità di riconoscere e preservare la singolarità e specificità dell’altro

Si tratta dunque di trovare una risposta che sia, ogni volta, generata dalla situazione concreta e adeguata solo in quella determinata situazione. Una semplice applicazione di regole non può mai raggiungere un tale grado di adeguatezza. La cura deve essere concepita come una forma di rassicurazione che protegge l’individualità dell’altro da qualsiasi appropriazione da parte di postulati o generalizzazioni e dell’imperativo della pianificabilità. La cura è dunque sempre in divenire, poiché essa è espressione del saper reagire con maestria alla continua mutevolezza delle singole situazioni. 

5. La cura come interazione riuscita

Nel momento in cui chi si prende cura consente che la vulnerabilità dell’altro agisca su di sé, si diviene consapevoli che si tratta di una vulnerabilità condivisa, una vulnerabilità che si può considerare come legame comune.

La cura non è solo il risultato dell’applicazione dei protocolli, di un agire funzionale, tecnico, ma anche l’evidenza di una interazione felice. L’assistenza dei malati esige una combinazione di capacità di analisi e calore umano. La tecnica è irrinunciabile ma ha bisogno della relazione interumana per essere veramente efficace. La relazione interumana non è quindi il sostituto della tecnica, ma la premessa del suo successo. Più un medico, un professionista sanitario, viene percepito degno di fiducia e comprensivo, tanto più efficace si rivelerà il ricorso alla tecnica.

Tutte le procedure terapeutiche a disposizione non saranno mai in grado di trasmettere ciò che di più prezioso possiede l’atto della cura: il messaggio rassicurante, rivolto personalmente al paziente, che egli, in quanto persona, è degno delle cure e di tutti gli sforzi necessari. La cura efficace è qualcosa in continua elaborazione, da programmare e armonizzare sul momento sui bisogni predominanti dell’altro. La sua essenza sta nel realizzarsi come processo, non nella produzione. Risulta allora chiaro che la cura è immancabilmente connessa al carattere della persistenza: è la fedeltà al suo obiettivo, la perseveranza, è la fermezza con cui si rimane in ascolto e in attenzione della persona bisognosa, che sanno trasformare il mero adempimento in una vera azione di cura.

Etimologicamente legato al concetto della parola latina cura è, infatti, l’idea di uno sforzo a cui ci si deve sottoporre per “vincere delle resistenze”. Il tener fermo della cura, anche di fronte a resistenze, è il significato originario della cura. Diventa anche chiaro che il contrario della cura è la negligenza, l’incuria. 

6. La cura come espressione di sostegno

La cura ha oggi un’espressione ardua perché non si lascia facilmente ridurre nei termini di una prestazione quantificabile. Essa si mette di traverso rispetto allo spirito del nostro tempo, si sottrae alla logica economicista dello scambio. In un contesto in cui tutte le forme di relazioni vengono definite in termini contrattuali, la cura non si conforma, perché non può essere ridotta a un bene fissato per contratto. La cura non può essere interamente formalizzata perché essa rappresenta una forma individualizzata di sostegno e anche qualora essa non riesca a salvare la vita rimane tuttavia indispensabile.

All’interno della dominante logica strumentale il valore della cura rischia di rimanere sconosciuto. La cura ha certamente anche un valore strumentale in quanto ci esorta di intervenire attivamente in aiuto dell’altro, però non si esaurisce nella soluzione strumentale perché la cura agisce sempre su due piani. Chi si prende cura dell’altro vuole agire in maniera concreta e risolutiva, allo stesso tempo vuole anche esprimere qualcosa. In questo senso la cura esprime due componenti: una componente strumentale e una espressiva. La cura interviene e al tempo stesso parla. Essa produce un cambiamento e allo stesso tempo comunica se stessa. In tal modo è in grado di sortire un doppio effetto: attraverso l’agire strumentale trasforma la materia, attraverso la sua azione espressiva trasforma la coscienza.

7. La cura come espressione di riconoscimento

L’effetto della cura deriva dal semplice fatto che rivolgersi all’altro fa dell’altro un qualcuno, una persona speciale. L’atteggiamento di sostegno e vicinanza consente di trasmettere al paziente un riconoscimento della sua persona, in grado di risvegliare in lui un sentimento risanatore di autostima. Questo è il vero e proprio “principio attivo” di una medicina basata sul prendersi cura.

Chi si prende cura dell’altro trasmette con le sue cure un messaggio, un messaggio che fa “senso” e questo conta sempre. La vera cura sprigiona di per sé una forza benefica perché essa sottrae l’altro all’anonimato, lo rende qualcosa di speciale, lo fa apparire in una nuova luce. Attraverso l’azione di cura si esprime alla persona bisognosa il diritto di essere così come è, la possibilità di imparare ad accettare sé stessa anche in quanto malata. La cura nobilita, in quanto costituisce un antidoto contro la tendenza di una fatale stereotipizzazione di sé. La vera azione di cura rappresenta una profonda forma di stima e di valorizzazione dell’individuo in grado di cambiare il paziente. Nel momento della loro sofferenza, i pazienti sono quasi sempre demoralizzati perché la loro fiducia nel mondo e in sé stessi è diventata fragile e precaria. In questa situazione di angoscia, la cura può essere un rimedio in quanto restituisce al paziente la capacità di ritrovare fiducia di sé.

Possiamo sottoporre il paziente a tutti gli esami clinici immaginabili e scrivere ed eseguire ogni tipo di trattamento e, tuttavia, questi non daranno frutto se non vengono accompagnati dalla cura.

Non di rado si riscontra un certo attivismo terapeutico nel disperato tentativo di trasmettere al paziente questo messaggio rassicurante, di sostegno e riconoscimento, ma se l’incontro non si svolge all’interno di un’autentica relazione di comprensione, il messaggio non avrà effetto. Questo è il vero motivo della irrinunciabilità della dedizione a prendersi cura. Solo con essa è possibile spiegare chiaramente a chi chiede aiuto che lui è importante, perché ciò che sente, pensa non gli viene scartato ma riconosciuto come significativo nell’approccio terapeutico.

 


 

In conclusione, praticare la medicina come scienza pratica, significa disporre di una riflessività che mette in grado di collegare le conoscenze specialistiche e teoriche con un saper agire pratico, in modo che, alla fine, ne risulti una scelta terapeutica la quale sarà scientificamente solida solo nel grado in cui si rivela adatta alla situazione concreta ed all’individualità del paziente. La scientificità della medicina non consiste quindi nella massima standardizzazione, ma in una sapiente individualizzazione.

A cura di

Cristina Veroni

Counselor filosofico

 

Bibliografia di riferimento a supporto e integrazione dei contenuti:

Giovanni Maio, MEDICINA E VALORI UMANI. Fondamenti per un’etica medica. Edizioni Minerva Medica, Torino 2023.

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