Consenso Informato nei Trattamenti Pediatrici

Riflessioni sulle decisioni mediche per i minori

 

Con il termine “consenso informato” si identifica una procedura con cui i genitori dei pazienti minorenni (o i loro rappresentanti legali), vengono messi a conoscenza delle eventuali terapie mediche o chirurgiche e dei trattamenti che il loro bambino dovrà subire.

Il tema del consenso informato assume un rilievo particolare in relazione ad un soggetto quale il minore, privo della capacità di agire e quindi in linea di principio incapace di esprimere una volontà giuridicamente vincolante rispetto agli atti di disposizione del proprio corpo.

Il problema è comprendere quale peso ha la volontà dei minorenni rispetto alle decisioni sui trattamenti sanitari che li riguardano e chi decide dei trattamenti sanitari a loro destinati, non è scontato che la decisione spetti comunque e sempre ai genitori.

Nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario senza il suo consenso. 

Il consenso informato è l’espressione, la formalizzazione dell’autodeterminazione del paziente rispetto al trattamento sanitario. 

Non esiste una normativa che disciplini l’autodeterminazione del minore in senso forte e formale (consenso informato), così come rare sono le norme in materia di trattamenti sanitari e diritto alla salute dei minori.

Dal complesso dei principi e delle disposizioni, internazionali e non, si deduce una crescente valorizzazione della volontà del minore nei processi che riguardano la propria salute, soprattutto in seguito all’evoluzione del concetto di minore come soggetto di diritti nel contesto della famiglia e della società.

La Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 176/91, richiama il diritto alla salute del minore, ma non si sofferma sull’esercizio di esso (art. 24). Tuttavia la Convenzione riconosce una serie di diritti e principi di grande rilievo per la tematica del consenso informato.

Altro testo di estrema importanza in questo ambito è la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina del 1997. Essa contiene una specifica disposizione relativa ai trattamenti sanitari rivolti ai minorenni (art. 7), che si avvicina in parte al concetto di autodeterminazione: “il parere del minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di  maturità”. L’art. 6 si limita, invece, a richiedere l’autorizzazione del rappresentante del minore, di un’autorità o di una persona designata, quando secondo la legge il minore non ha la capacità di consentire. E’ interessante notare che la norma parla di autorizzazione e non di “consenso informato”, come se quest’ ultimo debba provenire soltanto dal soggetto che subisce in prima persona il trattamento sanitario.

Anche l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prescrive che “i bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione, questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”. 

Posizioni analoghe sulla volontà del minore e l’affermarsi del principio di autodeterminazione dello stesso, trovano riconoscimento soltanto in alcune disposizioni normative e testi di riferimento a livello nazionale.

Nello specifico, il Codice Deontologico dei medici (artt. 33, 34), ispirandosi alla sopra citata Convenzione di Oviedo, prevede il consenso del legale rappresentante, ma anche l’obbligo di informazione al minore e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con l’età e con la capacità di comprensione, “fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante”.

Ancora “la Carta dei diritti dei bambini in ospedale”, elaborata a Trieste nel 2001, stabilisce agli artt. 7 e 8 che “il bambino ha diritto ad essere informato sulle proprie condizioni di salute e sulle procedure a cui verrà sottoposto, con un linguaggio comprensibile ed adeguato al suo sviluppo e alla sua maturazione. Ha diritto ad esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa. Le opinioni del bambino devono essere prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”.

Da un tale insieme si percepisce che la volontà del minore ha assunto un ruolo indubbiamente più importante, ma non ancora decisivo.

Il punto di riferimento è, come sempre, il principio del superiore interesse del minore, regola di comportamento e criterio di risoluzione dei conflitti che coinvolgono i minori. 

Alcune situazioni  non sono ancora adeguatamente disciplinate anzi, la mancanza di una disciplina univoca in materia di “consenso informato” per i minori crea problematiche serie.

 

ADHD nei bambini: Il dubbio sulla diagnosi e la controversia dei trattamenti farmacologici

 

In riferimento al problema della prescrizione di farmaci per la cura del cosiddetto Disturbo dell’Attenzione e iperattività (ADHD), un disturbo comportamentale diagnosticato ai bambini eccessivamente disattenti e vivaci. È consuetudine consolidata definire l’ADHD – in termini di causalità – come una “malattia geneticamente determinata”, relegando le cause psicosociali a cause minori. In realtà non sono stati rilevati indicatori dell’ADHD e quindi qualcosa come un esperimento medico per questa diagnosi non ha avuto luogo. Resta un’ovvia incertezza su come determinare questo disturbo e la diagnostica utilizzata è assolutamente carente, non ha una legittimazione scientifica. 

Appare quanto meno discutibile che comportamenti, più facilmente determinati da dinamiche personali e sociali, siano trasformati, tout – court, in una malattia di carattere biologico.

Tuttavia, i bambini presumibilmente affetti da ADHD, sono curati attraverso misure terapeutiche di tipo psicologico, educativo e farmacologico.

Quest’ultimo trattamento, in particolare, prevede la somministrazione di metilfenidato e di destroanfetamine stimolanti che dovrebbero sopprimere i sintomi del disturbo. Tali psicofarmaci non migliorano l’apprendimento scolastico, non curano la presunta patologia ADHD, agiscono solamente sui sintomi permettendo una migliore accettazione sociale dei bambini da parte degli adulti. Poca attenzione è stata dedicata a studiare le ripercussioni psicopatologiche che i trattamenti farmacologici hanno sui bambini. Nuove molecole commercializzate come “novità”, apparentemente prive degli effetti collaterali lamentati per gli stimolanti, sono in realtà banali “rivisitazioni” di psicofarmaci tristemente conosciuti in passato per i potenziali effetti collaterali dannosi nel medio – lungo periodo.

Questi farmaci sono tra i più controllati e i più limitati perché presentano una serie di effetti molto pericolosi per lo sviluppo e la crescita del bambino, fatto ampiamente riconosciuto persino dall’American Psychiatric Association. Ci sono prove certe del fatto che riducano la produzione dell’ormone della crescita, che causino danni cerebrali, che creino dipendenza e stati depressivi. 

La prescrizione di tali farmaci imporrebbe di essere preceduta da un consenso informato firmato dai genitori o dai tutori legali. E’ evidente, tuttavia, che la pericolosità legata alla loro assunzione non sia sufficientemente spiegata a genitori e bambini che non siano date sufficienti informazioni perché possano esprimere un consenso davvero informato prima di iniziare una terapia.

 

Dott. Carlo Tonarelli

Medico Omeopata

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